¿Fugazza
con queso o fugazzeta?
La fugazza
(palabra derivada de “fugassa”, o sea, focaccia en genovés) es
el nombre que se le da en Argentina a la pizza de cebolla. Puede
también llevar queso (pero no mozzarella), en este caso en Argentina
se la conoce como “fugazza con queso”. Esta pizza fue creada por
Agustín Banchero allá por el año 1900 y fue patentada en los años
50.
"Es una capa
de masa de pizza, queso cuartirolo en el medio, otra capa de masa y
cebolla arriba: no hay mucho más secreto que ese. Nosotros la
hacemos cuadrada, siguiendo la tradición, pero también hay quienes
la preparan redonda". La primera generación de los Banchero
llegó a la Argentina desde Génova en 1883. Don Agustín se instaló
en La Boca, donde abrió una panadería. Allí su hijo Juan creó la
célebre fugazza con queso. En 1932, con sus hijos Agustín y
Antonio, abrió la primera de las pizzerías Banchero en la misma
esquina de La Boca que aún ocupa.
La fugazzeta es
entonces una receta originariamente de italia y ha cambiado a través
de los años con la imigración; se dice que es un platillo que tiene
tres cocinas: La italiana, La española y La argentina. La fugazzeta
lleva además de los ingredientes de la fugazza (pizza de cebolla)
una doble masa y mozzarella. Se trata de una “pizza rellena”, no
es una pizza de masa muy fina de tipo “a la piedra”. Por ejemplo,
si lleva mozzarella, cebolla, orégano, aceitunas y un toque de
aceite de oliva se la conoce también como fugazzeta con queso para
diferenciarla de otra fugazzeta rellena con jamón y queso.
Resumiendo:
Fugazza=
pizza de cebolla que a veces tiene queso gratinado
Fugazza con
queso= la pizza de cebolla y queso
patentada por la pizzería Banchero de Buenos Aires
Fugazzeta=
pizza de cebolla con queso gratinado y rellena con mozzarella
Follia
di cipolla e mozzarella: la Fugazzeta
Da Paolo Galassi
Consigli ai
viaggiatori: con il termine “fugazzeta” a Buenos Aires si intende
una sorta di pizza alta diversi centimetri, simile ad una focaccia e
ripiena di mozzarella fusa – non immaginate quanta – sormontata
da un’ulteriore generosa dose di formaggio – che talvolta può
nascondere del prosciutto cotto – ricoperta da un ridente strato di
cipolla pressoché cruda e dorata in forno, profumata e letale.
Assaporarla sarà
la prova del fuoco per capire se Buenos Aires sia o meno la città
per voi, ma soprattutto per stabilire se voi siete fatti per Lei,
grassa contessa in rovina, principessa decaduta che vive nel ricordo
di nobili pretendenti affascinati dal suo nome, dai suoi teatri in
stile liberty e dai viali di jacarandà in fiore.
A guardarla sui
marciapiedi di Buenos Aires nemmeno la fame sembrerà tanto brutta, e
prima di farci l’abitudine potreste anche rimanere stupiti di
fronte alle carovane di cartoneros e alle colonie di ragazzini con la
maglia albiceleste numero 10 intenti a frugare tra la spazzatura
degli eleganti palazzi del centro, dove vi recherete in cerca di
quella Parigi del Sudamerica di cui parla la vostra guida, per capire
se è così romantica e retrò come dicono.
Tra gli infiniti
reticoli di strade ad angolo retto, il brulicare umano in un
qualsiasi giorno lavorativo diventerà insostenibile, e il pensiero
di come si muove, vive, parla, dorme e mangia questo formicaio
infernale vi alienerà facendovi perdere bussola e ora. L’odore
d’asfalto e carne alla griglia stimolerà il più primordiale dei
vostri impulsi, lo stesso che spinge mandrie di mocassini e doppi
petti a riversarsi in strada scontrandosi, all’ora di pranzo,
ovvero l’ora della giungla.
Se invece che in
una parrilla proverete per una volta ad entrare in una delle antiche
pizzerie del Microcentro, come lo chiamano i portegni, uno spettacolo
inatteso vi lascerà a bocca aperta come un bambino di fronte a un
Mangiafuoco. Una lunga fila di uomini si muove in modo meccanico,
oscilla e procede un passo alla volta verso un giovane cassiere
sudato che tra una banconota lurida e un resto in moneta continua a
gridare “avanti il prossimo!”, mentre una marea di spalle e
braccia si dimena e si infrange contro il bancone di marmo,
allungando lo scontrino e chiedendo 2 porzioni di muzza con fainà e
un bicchiere di moscatel.
Un cameriere in
divisa strappa il biglietto e ripete l’ordine con un grido cinico e
teatrale, squarciando l’aria con parole che potreste giudicare
arcane e inafferrabili per chiunque, ma che al contrario vengono
captate non si sa come da altri demoni in grembiule armati di
coltelli e pale di acciaio, avvinghiati a spine di birra gocciolanti
o nascosti nelle nicchie del forno a pietra, nella cui gola si
intravvedono lingue di fuoco e quasi s’ascolta un ribollire di
mozzarella. Privi di alternative vi lascerete inghiottire e
risucchiare nel vortice dantesco per ritrovarvi, come tutti gli altri
dannati prima di voi, adagiati sulla stessa riva all’altro capo del
bancone, con ciò che avete ordinato nel piatto, due posate ed un
chopp ghiacciato di birra in mano.
Il miracolo delle
pizzerie di Buenos Aires si perpetua di giorno in giorno e di ora in
ora, anche mentre state leggendo. Grida perse nell’etere, ordini
lanciati da un capo all’altro del locale senza che mai un nome o
uno sguardo li debba accompagnare a destinazione. Camerieri nati e
cresciuti lì, mai stanchi o spettinati, sempre seri, non annotano
mai niente, sanno sempre tutto a memoria e si ricordano ogni
ordinazione di ogni tavolo al momento di chiudere il conto. Botole
che si aprono nel pavimento, montacarichi che salgono colmi di farina
e lievito e tornano vuoti nell’antro di Polifemo, tana del mostro
della metropoli, fabbrica di quel mangiare-bere-lavorare quotidiano
che la anima e l’animerà per chissà quanto.
Las Cuartetas,
Güerrìn, Los Inmortales, El Cuartito, Pirilo, Angelito, El Imperio,
La Mezzetta: monumentale e centrica o semplice e di quartiere, quale
sia la vostra pizzeria ideale, lo decidete voi. Un caos dove tutto
funziona e le facce sembrano quelle dei ritratti del secolo scorso.
Qui non rimarrete mai in disparte o non serviti, basterà saper
prendere la corrente e come d’incanto davanti a voi si aprirà una
nicchia, rigorosamente in piedi, dove fermarsi a mangiare. Non
dimenticate mai di includere nel vostro ordine una fugazzeta però,
altrimenti madame Buenos Aires potrebbe non ritenervi degni di
bussare alle sue porte. Buenos Aires, que lindo nombre.
Ingredienti
della pizza portegna:
Per la pasta:
- ½ tazza
d’acqua tiepida;
- 15 grammi di
lievito (un cucchiaio);
- 2 tazze di
farina;
- 3 cucchiai di
olio d’oliva;
- 1 cucchiaino di
zucchero;
- 1 cucchiaino di
sale;
E inoltre:
- cipolle bianche
o dorate, 1,5 chili;
- olio d’oliva;
- 750 grammi di
mozzarella;
- parmigiano
reggiano grattugiato;
- sale, pepe e
origano;
Preparazione
In una terrina
mescolare l’acqua tiepida e lo zucchero, aggiungere il lievito,
mescolare bene, coprire con un panno e lasciare riposare una
mezz’ora. Aggiungere poi l’olio e il sale e la farina a poco a
poco – “a pioggia” – impastando fino ad ottenere un composto
soffice tale da non rimanere attaccato alle dita. Coprire con un
panno e lasciare riposare un’ora, fino a che la massa abbia
raddoppiato le sue dimensioni. Ora mettete la pasta sul vostro piano
di lavoro ben infarinato e manipolatela ulteriormente, con
delicatezza, fino a darle la forma di una palla, e lasciatela
riposare per un quarto d’ora ancora.
Nel frattempo,
sbucciare le cipolle e tagliarle ad anelli e saltarle in padella a
fuoco vivace con sale pepe e origano per una decina di minuti, non di
più, giusto una scottata.
Ora stendere con
un mattarello la sfoglia e disporla in una teglia da pizza unta in
precedenza: coprire uniformemente con abbondante mozzarella e
successivamente con la cipolla dorata, cospargendola infine con il
grasso di cottura rimasto in padella. Spolverare con parmigiano a
piacere. Mettere in forno e cuocere fino a completa doratura della
pasta. Nel caso vogliate, potreste anche ricoprire il primo strato di
mozzarella con una sfoglia più sottile di pasta, per poi effettuare
un ulteriore copertura esterna di formaggio e cipolla, in modo da
ottenere la famigerata fugazzeta ripiena. Quando il gioco si fa
duro.
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